Tra tutte le belle storie del mondo, una parla delle tante volte in cui percepiamo la sensazione di non essere ascoltati con il conseguente e urgente bisogno di mollare tutto, raggiungere un posto lontano da cose, persone, voci e sguardi per trovare un po’ di pace, per restare in silenzio, per stare bene. Non c’è niente di sbagliato in questo, anzi. Ciascuno di noi merita, tra gli affanni che la vita ci impone, un momento di quiete da dedicare solo a sé: non è solo un bisogno ma anche un diritto fondamentale. Anzi, la ricerca del silenzio è indice di un grado di maturità tale per cui ci si rende conto che è giunto il momento di dedicare cure e attenzione al proprio Io.
Catapultati in un mondo pieno di stimoli, suoni e rumori, può dunque capitare di desiderare momenti di pace e silenzio, il quale rappresenta un elemento del para-linguaggio, ovvero qualcosa che va oltre il contenuto di ciò che diciamo. Può interrompere una conversazione ma non la comunicazione e rappresenta uno dei mezzi più efficaci per ascoltare e comprendere l’altro, l’ambiente che ci circonda, i suoi suoni e le sue vibrazioni. In silenzio si ascolta sé stessi, basti pensare che per la filosofia orientale la capacità di rimanere in silenzio è una grande forza e rappresenta il primo grado della saggezza.
Il silenzio stimola la riflessione, aiuta a fermarsi e prendersi del tempo per valutare con maggiore attenzione e consapevolezza ciò che si sta per dire; conduce allo sviluppo di un pensiero costruttivo sulle emozioni, proprie e altrui, facilitandone la condivisione: il silenzio permette di cogliere la ricchezza delle emozioni di chi ci sta parlando e contemporaneamente di rendersi conto del valore inestimabile del preziosissimo dono della parola concesso agli esseri umani. Dunque, può diventare uno spazio di forte partecipazione emotiva aumentando l’intensità di ciò che si vuole comunicare quando il linguaggio non basta per esprimere quello che si prova: il silenzio ha il potere di dare il giusto significato ai suoni.